
SII BELLO!
P. Alejandro Ortega Trillo, L.C.
Questo caso aveva qualcosa di speciale. Dopo aver affermato che Gesù «guarì molti che erano affetti da varie malattie» (Mc 1,34), l’evangelista riporta nei dettagli una guarigione individuale: quella di un lebbroso.
La pelle è l’organo più esteso ed esposto del corpo. Le patologie che la riguardano difficilmente possono essere nascoste. Figurarsi la lebbra, che fin dall’antichità rappresenta un’infermità assai riprovevole. Secondo la legge di Mosè, i lebbrosi dovevano portare vesti strappate e il capo scoperto e andare in giro gridando: “Impuro! Impuro!” (Lv 13,45). Era come se la lebbra denudasse l’anima e denunciasse con le sue piaghe purulente il peccato e la maledizione di Dio.
Il lebbroso del Vangelo, armatosi di umiltà e di coraggio, si avvicinò a Gesù e si prostrò a terra. E gli disse: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Quanto avesse meditato questa supplica nel suo cuore non lo sappiamo, ma con essa ci ha lasciato un compendio di spiritualità, una sintesi degli atteggiamenti che sostengono la preghiera cristiana: adorazione, abbandono al volere di Dio e fiducia. La vita spirituale cresce e progredisce nella misura in cui sviluppa queste disposizioni. Il lebbroso era maturato nella sofferenza. Sapeva che la legge di Mosè gravava su di lui; e che, secondo tale legge, era condannato alla ignominia e all’esclusione. Tuttavia, al vedere Gesù, auscultò intuitivamente il suo Cuore e presentì quel suo “lo voglio!” potente, risoluto e tenace che attraversa i secoli, toccando e guarendo le anime malate.
Il Vangelo dice che Gesù «ne ebbe compassione». Il testo greco è più eloquente: dice che Gesù “si commosse fin nelle viscere”. Questa “commozione profonda” definisce l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’uomo e fonda, in qualche modo, questa “legge nuova” che, senza abdicare dalla giustizia, si situa sul piano della grazia.
Gesù «tese la mano» e «lo toccò». La legge antica proibiva severamente di toccare i lebbrosi. Gesù lo toccò. La sua mano sulla carne malata si fece carezza, balsamo divino sopra un’esistenza sofferta. Alcuni studi rivelano che l’essere umano ha bisogno per lo meno di una carezza al giorno, di un gesto o di una dimostrazione di affetto per non sentire la vita troppo aspra. Questo lebbroso era da molti anni che non la riceveva. Occorre immaginare la profonda impressione che fecce in lui quella carezza che liberò la sua pelle dalla lebbra e il suo cuore dall’abbandono.
I miracoli di Gesù implicano gesti e parole. I gesti compiono e le parole significano. Gesù toccò il lebbroso e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». La traduzione latina utilizza il verbo “mundare” (da cui l’italiano “mondare”) all’imperativo, che si può tradurre “sii pulito”; ma anche “sii bello”. L’esperienza religiosa, se è autentica, getta una luce implacabile sulle nostre miserie, ma pure ricostruisce e guarisce. È l’esperienza di un Amore che trasforma, di una Volontà che vuole salvare ad ogni costo. La bellezza umana non dipende dalla snellezza del corpo o dalle fattezze del volto, bensì da un’esperienza rivelatrice del fatto che si è amati.
«E subito la lebbra scomparve da lui». Dio ha fretta di guarirci, di liberarci da un passato iniquo. Dice la Bibbia che «davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno» (2Pt 3,8). Quel che siamo stati o che abbiamo fatto ieri, a Dio interessa ben poco. È tale la sua volontà di salvarci che, quando ci avviciniamo per chiedergli perdono, dà ai nostri peccati la stessa importanza che alla stampa; e per Lui, come per W. Churchill, “non c’è storia più antica del giornale di ieri”.
Tutti soffriamo di qualche lebbra morale che ci imbruttisce. Perché non avvicinarci a Gesù e, con umiltà e fiducia, supplicarlo: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”? Conosciamo già fin d’ora la sua risposta.
aortega@legionaries.org; www.aortega.org
P. Alejandro Ortega Trillo, L.C.
Questo caso aveva qualcosa di speciale. Dopo aver affermato che Gesù «guarì molti che erano affetti da varie malattie» (Mc 1,34), l’evangelista riporta nei dettagli una guarigione individuale: quella di un lebbroso.
La pelle è l’organo più esteso ed esposto del corpo. Le patologie che la riguardano difficilmente possono essere nascoste. Figurarsi la lebbra, che fin dall’antichità rappresenta un’infermità assai riprovevole. Secondo la legge di Mosè, i lebbrosi dovevano portare vesti strappate e il capo scoperto e andare in giro gridando: “Impuro! Impuro!” (Lv 13,45). Era come se la lebbra denudasse l’anima e denunciasse con le sue piaghe purulente il peccato e la maledizione di Dio.
Il lebbroso del Vangelo, armatosi di umiltà e di coraggio, si avvicinò a Gesù e si prostrò a terra. E gli disse: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Quanto avesse meditato questa supplica nel suo cuore non lo sappiamo, ma con essa ci ha lasciato un compendio di spiritualità, una sintesi degli atteggiamenti che sostengono la preghiera cristiana: adorazione, abbandono al volere di Dio e fiducia. La vita spirituale cresce e progredisce nella misura in cui sviluppa queste disposizioni. Il lebbroso era maturato nella sofferenza. Sapeva che la legge di Mosè gravava su di lui; e che, secondo tale legge, era condannato alla ignominia e all’esclusione. Tuttavia, al vedere Gesù, auscultò intuitivamente il suo Cuore e presentì quel suo “lo voglio!” potente, risoluto e tenace che attraversa i secoli, toccando e guarendo le anime malate.
Il Vangelo dice che Gesù «ne ebbe compassione». Il testo greco è più eloquente: dice che Gesù “si commosse fin nelle viscere”. Questa “commozione profonda” definisce l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’uomo e fonda, in qualche modo, questa “legge nuova” che, senza abdicare dalla giustizia, si situa sul piano della grazia.
Gesù «tese la mano» e «lo toccò». La legge antica proibiva severamente di toccare i lebbrosi. Gesù lo toccò. La sua mano sulla carne malata si fece carezza, balsamo divino sopra un’esistenza sofferta. Alcuni studi rivelano che l’essere umano ha bisogno per lo meno di una carezza al giorno, di un gesto o di una dimostrazione di affetto per non sentire la vita troppo aspra. Questo lebbroso era da molti anni che non la riceveva. Occorre immaginare la profonda impressione che fecce in lui quella carezza che liberò la sua pelle dalla lebbra e il suo cuore dall’abbandono.
I miracoli di Gesù implicano gesti e parole. I gesti compiono e le parole significano. Gesù toccò il lebbroso e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». La traduzione latina utilizza il verbo “mundare” (da cui l’italiano “mondare”) all’imperativo, che si può tradurre “sii pulito”; ma anche “sii bello”. L’esperienza religiosa, se è autentica, getta una luce implacabile sulle nostre miserie, ma pure ricostruisce e guarisce. È l’esperienza di un Amore che trasforma, di una Volontà che vuole salvare ad ogni costo. La bellezza umana non dipende dalla snellezza del corpo o dalle fattezze del volto, bensì da un’esperienza rivelatrice del fatto che si è amati.
«E subito la lebbra scomparve da lui». Dio ha fretta di guarirci, di liberarci da un passato iniquo. Dice la Bibbia che «davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno» (2Pt 3,8). Quel che siamo stati o che abbiamo fatto ieri, a Dio interessa ben poco. È tale la sua volontà di salvarci che, quando ci avviciniamo per chiedergli perdono, dà ai nostri peccati la stessa importanza che alla stampa; e per Lui, come per W. Churchill, “non c’è storia più antica del giornale di ieri”.
Tutti soffriamo di qualche lebbra morale che ci imbruttisce. Perché non avvicinarci a Gesù e, con umiltà e fiducia, supplicarlo: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”? Conosciamo già fin d’ora la sua risposta.
aortega@legionaries.org; www.aortega.org